E' scomparso Agostino Sangiorgio: il ricordo di Buonadonna e Billitteri
Pubblichiamo da “l’Ora edizione straordinaria” il ricordo che Sergio Buonadonna e Daniele Billitteri, che furono compagni di Agostino all’Ora, dedicano al collega scomparso
AL NOSTRO FIANCO, IMPAREGGIABILE INTERPRETE DELLA SUA CITTA’
La notizia che non volevo arrivasse, è giunta oggi martedì 1° dicembre alle 14,28. L'ha comunicata Ada Mollica: “Agostino non è più tra noi”. Agostino era, è Agostino Sangiorgio il catanese dell'Ora. Il più bravo: posso dirlo senza che Ada, Nino, Guglielmo, Francesco, Ornella se ne risentano? Era cronista senza se e senza ma, come si dice con espressione idiota e in voga. Già nei primi anni Settanta, quando approdò all'Ora, Agostino aveva innestato una marcia che non era tipica del giornalismo catanese astuto, sornione ma di palazzo. In una parola: servile. Sapeva raccontare la nera, intuire i segnali di mafia, entrare nei meandri giudiziari quando ancora la Catania nera, plumbea e affaristica girava intorno agli Intoccabili, e sapeva capire e comunicare la politica e il sindacato.
Ne conosceva e interpretava i linguaggi, i messaggi, le manovre di corridoio, il rampantismo che galoppava intorno all'emergente stella socialista, ed aveva gli occhi aperti sul boom economico del triangolo Catania-Siracusa-Ragusa dove s'aggiravano puzza di petrolio e di fascisti. Memorabile un suo pezzo a caldo sull'assassinio del nostro corrispondente da Ragusa, Giovanni Spampinato.
Cronista a tutto tondo, discreto nei modi, attento alle richieste dell'esigentissimo Nisticò, che spesso "ingiustamente" non gliele risparmiò, sapeva proteggere i suoi colleghi, tutti più giovani e tutti diventati una certezza del giornalismo etneo. Era il loro capo e il loro punto di riferimento anche se L'Ora potenziava continuamente Catania: Giaramidaro, Nicastro, Calabrò, Buonadonna, Sofia, Arisco. E tra tutti noi si cementò un'amicizia irresistibile.
Non c'era più derby tra Palermo e Catania, c'era osmosi, scambio, idee, bellezza, cultura. Spesso Ada e Agostino venivano a Palermo solo per stare tra amici attratti da Salvo Licata, una sirena di intelligenza e ironia, e dal fascino e dal gusto del grottesco di Mario Genco.
E poi vuoi mettere c'era il jazz. E fu la musica afro-americana prima ancora che il lavoro che poi ci avrebbe visti per anni insieme a Catania a cementare la nostra amicizia. Le serate d'ascolto dischi a casa sua quando L'Ora mi inviava, le serate al Brass quando Agostino e Ada venivano a Palermo, e le trasferte. Una volta prendemmo l'aereo e ce ne andammo a Bergamo perché ci aspettava un concerto di Charlie Mingus. E ci piazzammo tutti e tre sotto la pedana affascinati dal contrabbasso scontroso, dissonante e provocatorio del grande jazzista.
E quante risate e battute mentre si disputava se le crespelle erano meglio delle sfinge di San Giuseppe, e gli arancini meglio delle arancine. Questo menu mentre si discuteva se il giudice Auletta avrebbe trasformato la Procura di Catania, se finalmente si sarebbero aperti certi processi, se il Pci di Occhetto e Quercini ce l'avrebbe fatta a disarcionare la città nera. E per una volta ci riuscì anche.
Ma sempre col sorriso e con la battuta colta e con quell'ironia graffiante che Agostino ereditava da Brancati e da Angelo Musco e dalla teatrale sovranità di un Turi Ferro. Di Catania è stato un interprete elegante e mordace prima che emergesse Pippo Fava e che giornate e che cronache quando con L'Ora del mattino piombammo in redazione Nino Sofia ed io. Allora fu giornale continuo tra il caffè del mattino e un ripiddu nivicatu della "Siciliana" alla sera, Agostino fu al nostro fianco impareggiabile interprete della sua città.
Tutto questo ora è finito?
No, resta fortissimo nel nostro cuore. L'ultima volta che ci siamo sentiti è stato alla fine di settembre. Lo avevo invitato alla presentazione catanese di "Quando Palermo sognò di essere Woodstock". “C'è tanto jazz lì dentro, ti piacerà- gli dissi. “Spero di venire - mi rispose - ma ho un tumore al polmone. Chissà se ce la farò”.
Domani alle 16 Catania lo onorerà in Cattedrale. È giusto perché Agostino è stato un grande catanese. Non credo fosse credente, non ne abbiamo mai parlato. Ma nella Chiesa di Francesco è giusto che l'ultimo saluto a un collega buono e giusto sia nel Duomo, dedicato a Sant'Agata dove convergono tutti i simboli forti della città: "i Liotru", il palazzo del Comune con le sue insegne, via Etnea, via Garibaldi.
Ciao Agostino ti abbiamo voluto tutti bene. E anche tu a noi.
(Sergio Buonadonna)
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OTTIMO CRONISTA, CON IL GUSTO DEL PARADOSSO
Ciao Agostino
Mi tocca aggiungere un altro nome alla lista della Spoon River di noi che fummo. Che fummo dell’Ora, che fummo colleghi, che fummo compagni, che fummo amici. Oggi saluto Agostino Sangiorgio da Catania. E lo faccio, senza nulla togliere alla memoria di tutti gli altri che non ci sono più, con particolare dolore.
Ma io sono venuto a lodare Agostino, non a seppellirlo e confesso tutta la mia difficoltà a dare forma di priorità alle perle che lo hanno riguardato. Intanto, e difficile non partire da qui, bravo giornalista e ottimo cronista, che non sempre è la stessa cosa. Era intelligente, attento, malgrado gli occhiali fondi di bottiglia, ci “vedeva” benissimo, era anche furbo, che non guasta, in una città levantina e scaltra. Della nave su cui ha navigato per una vita conosceva dal ponte di comando alle sentine come deve essere per chi fa il nostro mestiere.
Pagato il debito alla qualità professionale, passiamo alle cose che me lo rendevano irresistibile. Agostino era (stato?) comunista ma spiritoso. Ho alle spalle una lunga militanza e so quanto vale questa cosa. Un comunista è severo per definizione (certe volte anche troppo, va…) ma se è spiritoso pensa che “una risata vi seppellirà” e questo mi piace assai. Con Agostino erano sempre grandi risate, la personam ridens prevaleva su questa sorta di disciplinare d’incarico che ci viene attribuito come narratori del malaffare. E ci vuole tetragoni e tristi. Chi pensa questo dimentica che l’ironia è uno strumento possente e Agostino girava pesantemente armato. Era quello che gridava “il re è nudo” e aggiungeva “e ce l’ha piccolo!!”. Come si poteva non amarlo?
E sbaglia chi pensa che il suo gusto per il paradosso fosse un effetto collaterale della superficialità. E’ vero il contrario: solo l’avere approfondito, avere raggiunto il massimo grado possibile di approssimazione alla verità, ti può consentire il gusto del paradosso, la collocazione del male nello scaffale della banalità che non ne diminuisce la portata ma aiuta nel combatterlo.
E Agostino era un combattente anche nella categoria perché da sempre impegnato nel sindacato dei giornalisti. Anche noi siamo stati e siamo abbastanza “sciarrieri”, litigiosi. Il Territorio ci ha giocato spesso brutti scherzi e “catanesi” e “palermitani” si sono spesso confrontati anche duramente. Ma con lui il confronto era sempre logica e ragionamento, mai sciarra. E risate, naturalmente. Posso dire che devo a lui la mia inconfessabile simpatia per i “cugini”etnei.
E poi la musica. Agostino era un appassionato di jazz, un vero intenditore, un antesignano, anche, di apparecchi per la riproduzione del suono. L’Alta Fedeltà l’aveva trasportata dall’ideologia alla tecnologia. In questo degno figlio di una città che con la musica ha sempre avuto un rapporto fatto di straordinario rispetto e di rilevante produttività. Agostino non suonava alcuno strumento ma sapeva distinguere una scala pentatonica da un contrappunto. Ora può imparare a suonare pure le nuvole perché lassù, nel Blues dipinto di Blues, non è il tempo che gli manca. Buon viaggio Agostino.
(Daniele Billitteri)