Inpgi-Inps, prelievo previdenziale aggiuntivo dell’1% per 6 mesi (0,5% lordo annuo): la cronistoria dei fatti e le bugie

30.10.2023 16:43

Il giornalista ricerca, raccoglie, elabora e diffonde con la maggiore accuratezza possibile ogni dato o notizia di pubblico interesse secondo la verità sostanziale dei fatti; rispettandone la veridicità. Lo dice il Testo Unico dei doveri del giornalista, la nostra «costituzione» deontologica. Così dovrebbe essere, ma così è sempre meno. Di recente sono circolate «note informative» (anche veicolate da alcuni Cdr e rilanciate da siti noti per pubblicare notizie senza verificarle) sul prelievo previdenziale aggiuntivo dell’1% per sei mesi (che vuol dire lo 0,5% del lordo annuo) che il ministero del Lavoro ha preteso, con l’avvallo dell’Avvocatura dello Stato, per i giornalisti attivi e i pensionati. Note che di informativo hanno poco e che hanno avuto come unico effetto la disinformativa.

Questi sono i fatti e sono facilmente riscontrabili da chiunque avesse la voglia, il tempo e la capacità di farlo.

1.     La prima preoccupazione per i conti dell’Inpgi risale al 2009: scritta nero su bianco nella relazione al bilancio. Il documento è facilmente ritrovabile nella sezione bilanci sul sito dell’Istituto e già allora i pensionati stavano aumentando più dei neoassunti: se fosse continuato così avremo avuto problemi. C’erano a fine 2009, mentre stava iniziando la grande stagione dei prepensionamenti, circa 6.500 pensionati e 18.500 giornalisti attivi. L’Inpgi mise in campo una leggera manovra di ricalcolo delle pensioni future.

2.     Il 20 novembre 2012 il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali approvava il bilancio tecnico attuariale redatto a settembre dall’Istituto – alla luce di quanto previsto dall’art. 24, comma 24, del Decreto Legge n. 201/2011 – e giudicava che l’Inpgi rispondeva pienamente alle condizioni di stabilità economico-finanziaria previste dalla norma. Il saldo corrente (contributi incamerati più rendimenti al 3% meno prestazioni erogate) era sempre positivo per tutto il cinquantennio di proiezione, il patrimonio era sempre in crescita e non veniva mai intaccato. Questo anche grazie agli interventi strutturali di riforma che l’Istituto aveva, in totale autonomia, già messo in campo nel luglio 2011.

3.     Poi la crisi ha messo il turbo ed è passata in corsia di sorpasso. Se nel bilancio familiare ogni mese ti entra 100 e ne spendi 110 hai un problema. E cosa fai? Cerchi di tagliare qualcosa, quello che puoi, e magari se hai un immobile sfitto o affittato provi a venderlo. Tra il 2012 e il 2016 chi gestiva all’epoca l’Inpgi si rese conto che era necessaria una nuova riforma, che fu messa in campo con il definitivo passaggio al sistema di calcolo contributivo delle pensioni dal 2017 (quello che tutti gli altri lavoratori hanno dal 1996). Anche quello con il pieno placet dei ministeri vigilanti, Lavoro ed Economia. E fu anche decisa la vendita di parte del patrimonio immobiliare – obiettivo recuperare 650 milioni entro il 2019 – con la polemica degli stessi soloni di oggi che, all’epoca, pretendevano che le case fossero svendute ai colleghi che le abitavano. Cosa che non è stata fatta, ovviamente.

4.     Non bastò, perché la crisi continuava a galoppare: a fine 2021 le pensioni erano 9.909, mentre gli attivi che versavano i contributi erano scesi a 14.702 mila con stipendi medi inferiori alle pensioni. Il sistema non reggeva più.

5.     A dicembre 2020, intanto, il governo aveva varato una norma che imponeva il riequilibrio dei conti dell’Istituto entro il 30 giugno 2021 (art 16 quinquies legge 58/19 e proroga in legge di Bilancio 2021). Come? Secondo la norma «aumentando le entrate e diminuendo le uscite». Semplice, no? Purtroppo l’unica misura che avrebbe potuto garantirlo sarebbe stata il taglio del 30% delle pensioni già in essere. Incostituzionale. Il Cda lo fece presente al Governo, ma c’era una norma di legge da rispettare. Non solo, il Cda aveva individuato come misura alternativa per salvare l’Istituto e le pensioni quella di allargare la base contributiva a tutti i lavoratori dell’editoria, anche non giornalisti: gli iscritti sarebbero stati molti di più, il gettito molto più alto e, anche grazie alla manovra del 2016, il disavanzo sarebbe stato colmato e i conti sarebbero stati strutturalmente stabili. L’unica misura che poteva salvare l’Istituto, ma doveva essere decisa per legge e, quindi, necessitava di una legge ad hoc.

6.     Come atto di credibilità rispetto al governo e – non dimentichiamocelo – per rispettare quanto previso dalla legge di Bilancio 2021, il Cda Inpgi decise una manovra equilibrata di taglio dei costi e aumento delle entrate che, tra le altre cose, prevedeva l’introduzione per 5 anni di un contributo straordinario dell’1% a partire dal 1 gennaio 2022 a carico dei pensionati Inpgi 1 (a fondo perduto) e degli attivi (come prelievo previdenziale che sarebbe finito nel cassetto previdenziale di ciascuno). Non una manovra per salvare l’Inpgi – e anche qui basta avere la pazienza di consultare i documenti, le relazioni –, il Cda lo aveva ben spiegato al Governo che nessuna manovra avrebbe potuto risanare i conti (non c’era più l’equilibrio attivi/pensionati), ma per rispettare la norma della legge di Bilancio (e chi oggi scrive il contrario mente, sapendo di mentire) e per evitare il commissariamento. Nel frattempo, infatti, si continuava a trattare con i ministeri.

7.     L’allargamento della platea contributivo Inpgi a tutti i lavoratori dell’editoria non si fece. Lo decise il governo a guida Draghi, con ministro del Lavoro del PD, anche perché era contraria la Cgil, il maggior sindacato dei lavoratori del settore editoria. E anche perché una piccola rumorosa parte della categoria (gli stessi che oggi si lamentano) lavorava in senso inverso.

8.     A fine 2021 invece, il governo decise di spostare la gestione previdenziale dei giornalisti dipendenti attivi e pensionati nell’Inps. Il Cda dell’Inpgi, quindi, sospese l’applicazione del prelievo dell’1% (che sarebbe dovuto scattare il 1° gennaio 2022 e, infatti, non ebbe luogo). I ministeri vigilanti, però, chiesero un parere all’Avvocatura dello Stato che dispose che il prelievo andava fatto per i primi 6 mesi del 2022, cioè fino al passaggio definitivo all’Inps. La Fnsi protestò duramente per la decisione.

Fu una sconfitta? Non proprio. Inpgi e Fnsi, nel frattempo, avevano ottenuto che il passaggio all’Inps avvenisse rispettando tutti i nostri meccanismi di calcolo fino al 2022. Cosa per nulla scontata e accompagnata da vibranti proteste dall’esterno della categoria (si ricordi solo l’economista Tito Boeri tra tutti), che scrivevano di un «regalo» alla casta. Sarebbe potuta andare molto diversamente, col ricalcolo delle pensioni con il contributivo retrodatato al 1996 e il conseguente taglio fino al 30% delle pensioni in essere e future che ne sarebbe derivato.

Quanto vale oggi, quindi, questo prelievo a carico dei giornalisti in attività, e a che pensione darà luogo? Ecco qui:
Stipendio lordo 38.000 Prelievo netto 108,72 Aumento annuo pensione 109,25
Stipendio lordo 65.000 Prelievo netto 177,00 Aumento annuo pensione 186,88

Stipendio lordo 90.000 Prelievo netto 236,76 Aumento annuo pensione 258,75
Stipendio lordo 120.000 Prelievo netto 315,72 Aumento annuo pensione 345,00
Stipendio lordo 150.000 Prelievo netto 394,02 Aumento annuo pensione 431,25

Domenico Affinito
Membro del Cda Inpgi da luglio 2020 a febbraio 2023